CASTELLETTO DI BRANDUZZO – Un noto quotidiano nazionale qualche anno fa lo ha soprannominato il “Michelangelo della Miniatura”. Un paragone ardito ma azzeccatissimo per Vincenzo Bosica, classe 1946, abruzzese d’origine ma trapiantato in Oltrepò Pavese (precisamente a Castelletto di Branduzzo) da quasi mezzo secolo. Nel laboratorio di casa sua ha riprodotto e ricreato instancabilmente vetture in miniatura a livello professionale, nonché i macchinari, gli strumenti tecnici e i procedimenti chimici necessari per costruire i suoi modelli. Si tratta di autentiche riproduzioni in scala 1:43 di automobili Ferrari, Porsche, Alfa Romeo e storiche “Mille Miglia”, che sono state vendute in disparate parti del mondo. Tutte di altissima precisione e di assoluta fedeltà all’originale, grandi pochi centimetri, sono state assemblate pazientemente (alcuni modelli hanno richiesto anni di lavorazione) pezzo per pezzo, grazie a microscopici componenti come pistoni, pulegge, marmitte, viti, dadi e bulloni delle dimensioni di millimetri e addirittura decimi o centesimi di millimetro. Entrare nell’officina di Vincenzo Bosica, piena di alcune sue opere esposte, di fotografie dei suoi lavori, ma anche di strumenti del mestiere (torni, presse, trapani, frese, ecc.), è come fare un balzo in una dimensione parallela e tornare indietro nel tempo.
Chi è Vincenzo Bosica? “E’ una persona che è innamorata del Sapere – mi racconta lui stesso – e che da piccolo aveva voglia di realizzare qualcosa, iniziando dai giocattoli e poi, strada facendo, dedicandosi a questa attività”. Subito al modellismo, quindi? “No. Inizialmente ho frequentato la Scuola d’Arte a Castelli, in provincia di Teramo. Terminati gli studi ho fatto l’artigiano, ma la voglia di fare sempre qualcosa di diverso mi ha portato a realizzare una moto in miniatura: in realtà era un po’ ‘grandicella’, in scala 1:8, con una lunghezza di 18-20 cm. Da quel progetto il mio hobby si è trasformato nel mio lavoro. Ho iniziato a partecipare a mostre nelle varie città d’Italia, venendo a contatto con un mondo che non conoscevo neanche. Nel 1975 ho portato il modello della Laverda 750 SF a un’esposizione a Torino organizzata dalla rivista Quattroruote. Lì ho conosciuto Carlo Brianza, un modellista di Tradate che mi ha proposto di lavorare con lui e che mi ha staccato un assegno da 500 mila lire (circa 2 mila euro di oggi) per una mia riproduzione di Ferrari 712 Can-Am. Ho iniziato a lavorare con questo imprenditore, ma vedendo che il mio nome non veniva riportato sui modellini realizzati, ho deciso che potevo andare avanti da solo e mettermi in proprio”.
Come è finito a Castelletto di Branduzzo? “E’ stato un caso. Andando a scuola a Castelli, che era distante dalla zona di Roseto degli Abruzzi dove vivevo, stavo a pensione da una famiglia: il padrone di casa era direttore di una fabbrica di ceramica, di proprietà del professor Garau, docente di scultura dell’Accademia Brera di Milano. Quando nel 1968 iniziai a lavorare alla Villeroy & Boch, una nota e importante ditta tedesca che c’è a Teramo, il direttore della fabbrica di ceramica mi disse che a Lungavilla cercavano un modellista. Io, ovviamente, non sapevo manco dove stava questa Lungavilla ma, spinto dalla voglia di realizzarmi, sono partito, sono arrivato in Oltrepò Pavese, ho conosciuto Ferraresi e dal gennaio del 1969 mi sono trasferito stabilmente qui. Nell’ottobre dell’anno successivo, invece, mi sono sposato e mia moglie (abruzzese anche lei) ha iniziato a insegnare in zona, mentre io facevo il ceramista. La realizzazione del modellino della motocicletta, poi, ha cambiato la mia vita”.
Come è riuscito a farsi strada in un mondo, all’epoca, dove non esistevano internet, facebook e tutti i canali social di oggi? “Principalmente grazie al passaparola e alle mostre. Ai tempi si organizzavano delle esposizioni a Bologna, a Milano, a Torino, ecc.. Io partecipavo a queste mostre, prendevo un tavolo ed esponevo le mie opere a collezionisti, proprietari di negozi e così via. Un po’ da lì e un po’ dal fatto che già all’epoca realizzavo opere che molti nemmeno oggi fanno, il mio nome è iniziato a circolare e pian piano sono arrivate richieste da tutto il mondo: America, Canada, Giappone, Argentina, Brasile, Europa e altro. Da solo non riuscivo a soddisfare tutta la domanda che arrivava, per cui il mio lavoro è stato improntato su poca produzione ma di qualità: non lo dico io, ma i tanti collezionisti. Io non ho mai fatto nessuna pubblicità, i miei clienti sono arrivati tutti da soli”.
Quali sono state le soddisfazioni maggiori che ha ricevuto nella sua carriera? “Sono state tantissime. Come tantissimo è stato l’impegno che ci ho messo, perché mi sono dovuto inventare tutto, senza delegare niente a nessuno. Come le Ferrari originali: di modellini ne ho prodotti e venduti solo pochi esemplari. Sono stato per 15 anni licenziatario della Ferrari, dando loro il 12% del mio fatturato per usufruire dell’immagine Ferrari. Oggi con i macchinari che ci sono basta andare da uno stampista in gamba per farsi realizzare anche un pezzo complicato, ma io realizzavo motori composti da 500 pezzi, prototipi unici e introvabili sul mercato”. Alla veneranda età di 75 anni riceve ancora tante richieste? “Le ricevo continuamente, ma ho detto basta già alcuni anni fa. Sono andato in pensione e adesso mi dedico solo alle opere ‘grandi’: per esempio, sto restaurando un’automobile Fulvia del 1973. Poi, colleziono oggetti sui quali i nostri avi hanno fatto la loro fortuna, come i mulini ad acqua o le presse con la vite di legno per la pigiatura dell’uva. Mi interessa e mi occupo di tutto quello dove dietro c’è la capacità umana di realizzare qualcosa”.