ARENA PO – “C’era un campo di granturco un po’ dopo il tramonto e un ometto che si inoltrava tra le spighe, chiamando a gran voce il suo bambino che era uscito di casa e si era perso. Poi calò la notte e cominciò a piovere. Il bambino lo cercarono in tanti, facendosi luce con le torce, zuppi d’acqua. Qualcuno disse al papà che lo avrebbero trovato di sicuro e che non poteva essere andato lontano. Ma l’ometto si lasciò cadere a terra e si mise a singhiozzare, nel buio. Gli amici, anche i più attendibili, si strinsero nelle spalle, nessuno si sbilanciò”. Gianni Amelio (*), regista italiano e vincitore di vari premi cinematografici nella sua carriera, ricorda così alcune sequenze di “Italia Piccola”, quel “capolavoro perduto” girato e ambientato nel 1957 ad Arena Po. La vera trama, però, all’epoca fece indignare una nazione da poco uscita dalla guerra, e ancora un po’ schizzinosa e bigotta su alcuni temi. Invece, doveva davvero essere molto bello il film interpretato da Nino Taranto ed Erminio Macario, maschere tradizionalmente comiche, ma in quell’occasione trasportate in interpretazioni serie e drammatiche. Nel cast anche un giovane Enzo Tortora pre-showman televisivo, la bella e formosa attrice Rita Giannuzzi e una collaborazione eccellente, quella del compositore Nino Rota (futuro vincitore dell’Oscar nel 1975 per le musiche de Il Padrino), che firmò allora la colonna sonora.
“Lo vidi da ragazzino, mi ha insegnato tutto – scrive ancora il regista de Il ladro di bambini e di Lamerica – L’ho visto una sola volta, quando uscì in prima visione nel 1957 e avevo dodici anni. Poi mi pare che sia stato bandito persino dalle sale parrocchiali. Insomma, di Italia Piccola si persero le tracce quasi subito e nessuno se ne dolse. I critici erano stati feroci, il passaparola inviperito: sembrava giusto che calasse l’oblio”. Il problema di questo film girato nel piccolo comune rivierasco oltrepadano è che non si trova più da anni: non esiste più il negativo originale e neppure una copia distribuita all’estero (all’epoca fu doppiato per il mercato spagnolo). Pare ci sia un quarto di rullo presso il Centro Sperimentale Cinematografico di Roma, ma risulta improiettabile, perché deteriorandosi nel tempo non c’è nessun macchinario che sia più in grado di leggerlo. Qualcuno, come Gianni Amelio che l’ha potuto vedere o addirittura interpretare – perché tante sono state le comparse arenesi assoldate dal regista torinese in quell’estate di 64 anni fa – ha sempre giurato che si trattasse di un piccolo capolavoro del cinema italiano.
“Non dovrebbe succedere per nessun film, bello o brutto che sia, di andare perduto così. Aveva bellissimi colori e anche per i detrattori più malvagi possedeva un ‘grande senso del paesaggio’. Forse fu per merito della Bassa Padana pavese, che è fotogenica pure in bianco e nero, che cominciai a distinguere un’immagine espressiva da una sciocca”. La trama era costruita su una possibile notizia di cronaca di quegli anni. Una bella ragazza, figlia del capostazione di Arena Po (piccola stazioncina di campagna dove si fermano solo i treni “accelerati”), viene sedotta da un bellimbusto tornato da Roma e in partenza per chissà dove. Nasce il “figlio della colpa” ma, per evitare lo scandalo, lo si fa passare come il nascituro di due vicini di casa che vorrebbero tanto un erede. Un giorno però, quando il bambino è già cresciuto e va già a scuola, il seduttore ritorna… ma tutto si aggiusta per il meglio.
“Non è un mio film, ma è IL mio film” disse allora il regista neorealista, autore dell’indimenticato capolavoro Piccolo Mondo Antico del 1941. Soldati usò l’ambientazione del nostro fiume Po per rappresentare il ritratto di un mondo di provincia ancorato a certi valori patriarcali e all’arte di arrangiarsi del Dopoguerra. Purtroppo, le tematiche affrontate (l’adulterio e l’emancipazione femminile) fecero storcere il naso a pubblico e critica già dopo la prima proiezione al Cinema Politeama di Piacenza, la sera del 25 ottobre 1957. Nonostante qualche recensione d’epoca anche positiva (come quella del giornalista Leo Pestelli sul quotidiano “La Stampa” del 1 dicembre 1957**), l’insuccesso al botteghino di Italia Piccola fu tale che dopo pochi mesi la pellicola fu ritirata, non venne più ridistribuita, da allora se ne persero definitivamente le tracce, e molto probabilmente tolse a Soldati l’idea di girare altri lungometraggi: infatti, il successivo “Policarpo” (1959) fu l’ultimo lavoro del cineasta, che da lì in poi si dedicò solo a produzioni televisive tra reportage e finzione.
Fra le tante pellicole girate nella nostra provincia (la sola città di Pavia ha fatto da set a una ventina di produzioni dal 1952 a oggi), forse si è smarrita proprio quella più introspettiva, cruda e viscerale, il testamento artistico di un scrittore-cineasta capace sempre e comunque di trasmettere nelle sue opere, anche quelle più drammatiche, la gioia del vivere. Dimenticato, smarrito e maledetto, del capolavoro perduto di Italia Piccola restano soltanto qualche fotografia e brevi filmati (rintracciabili su internet) sul ‘backstage’ del set. Troppo poco, davvero.
*: Le dichiaraizoni del regista Gianni Amelio sono prese da controappuntoblog.org
**: «Soldati ha resistito alla dulcedine del raccontino preparatogli da Maroni e Pezziloro, non ha fatto del bozzettismo di maniera, ha scritto del suo inchiostro un film bonario e casalingo, ventilato dal bellissimo paesaggio padano che ne è il vero protagonista. Una ricreazione per quanti spettatori si sono ormai stufati di esotici e troppo forti sapori. E ha fatto buon uso dei colori e del grande schermo, piegandoli, anziché a vacua pompa spettacolare dei personaggi e dei luoghi, a gustosi effetti di macchia» (cit.)