CASTEGGIO – Forse non tutti lo sanno ma l’Oltrepò Pavese non è solo terra di grandi vini, ma anche di grappe e di liquori di vario genere. A Casteggio da circa 70 anni a questa parte c’è la Distilleria Bellomi, probabilmente una delle più antiche del nostro territorio. “La distilleria è stata fondata dal padre di mio suocero – racconta Camillo Terzi, marito della titolare Elena Bellomi – All’epoca c’era una distilleria vera e propria, nel senso che ritiravano le vinacce e producevano la grappa. Poi, per le problematiche dovute agli scarichi delle borlande, l’azienda si è trasformata in un opificio di trasformazione: adesso prendiamo i distillati a 80 gradi, li lavoriamo, li portiamo a 40°, li mettiamo nelle botti e li facciamo invecchiare dai 7 ai 10 mesi fino a produrre grappa nostrana”.
Non solo grappe, però, sono esposte nello storico negozio di via Torino. Ci sono anche amari, sambuche, brandy, limoncini, liquori allo zafferano, alla liquirizia, alla ruta, all’anice, frutta sotto spirito, vermouth, fernet, amaretti, rhum, punch, maraschini e tanto altro… Questi liquori come vengono prodotti? “Siccome abbiamo la licenza UTIF, utilizziamo l’alcool per fare i liquori. Per fare i nostri amari, per esempio, prendiamo l’alcool a 96 gradi e con le nostre ricette segrete realizziamo il nostro ‘Amaro del Povero’, un liquore a base di erbe, un prodotto che realizziamo in casa nostra, come i vari altri super-alcolici: per il brandy partiamo dalla base di distillato di vino e lo lavoriamo fino a ottenere il nostro prodotto di fabbrica Bellomi”.
Le vostre grappe e i vostri liquori che diffusione hanno sul territorio pavese e al di fuori? “Le nostre richieste arrivano da bar e ristoranti, ma anche da singoli privati che entrano in negozio per acquistare i nostri prodotti. Il raggio di vendita è molto ampio, abbraccia tutto il Nord Italia. Adesso stiamo realizzando un liquore per un’enoteca di Como, che si chiama l’ ‘Amaro del Ghisallo’. Abbiamo molte ordinazioni sulla zona di Milano: tanti turisti scendono in visita alla Cantina Sociale, girano per altri produttori di vino delle nostre colline e poi passano qui da noi a prendere le nostre grappe e i nostri liquori. Qualcosa lo spediamo anche in in Liguria, come l’ ‘Amaro della Val Trebbia’, molto diffuso nella zona di Torriglia, sulle montagne di Genova”.
L’Oltrepò Pavese è una terra di grandi vini conosciuta in tutta Italia e non solo, ma non molti sono a conoscenza della Grappa dell’Oltrepò. Cosa manca alla nostra zona per sfondare anche nel mondo dei distillati in generale? “Secondo me mancano principalmente persone che hanno voglia di investire su questo progetto. Si sta perdendo la ‘cultura’ del portare avanti certe tradizioni e alcuni produttori stanno chiudendo l’attività, mentre altri, tipo nella zona della Val Versa, hanno già serrato. Siamo rimasti veramente in pochi e sinceramente, se non mi prendevo io stesso l’impegno di andare avanti, anche mio suocero molto probabilmente avrebbe cessato la produzione”.
Come mai l’Oltrepò, nonostante tutte le potenzialità inespresse, non riesce a decollare come terra di turismo eno-gastronomico e tutto l’indotto annesso-connesso? “Essenzialmente per colpa della tipica mentalità chiusa. Ci facciamo fra di noi la guerra del vino per non risolvere niente, fondamentalmente. I miei genitori sono originari del Trentino, e lì dalle mele ai vini si riuniscono in cooperative e si associano fra loro. Qui, all’opposto, si fanno la guerra a chi vende la Bonarda: se uno la vende a 3 euro al litro, l’altro la vende a 2 e 90. E’ una guerra fra poveri, si risolve davvero poco così: non si valorizza assolutamente il territorio e alla fine non vince nessuno”.