Con una adeguata formazione e semplificazione l’agricoltura nazionale può offrire agli italiani in difficoltà almeno 200mila posti di lavoro che in passato erano affidati necessariamente a lavoratori stranieri stagionali, che ogni anno attraversavano le frontiere per poi tornare nel proprio Paese. E’ quanto afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini in occasione del Summit della Coldiretti con il Governo “Recovery ‘Food’, l’Italia riparte dal cibo” organizzato con Filiera Italia a Palazzo Rospigliosi a Roma.
Con i limiti al passaggio nelle frontiere per l’avanzare dei contagi anche quest’anno – sottolinea la Coldiretti – con l’anticipo di stagione favorito dal caldo si registrano difficoltà per l’arrivo in Italia di lavoratori stranieri, con il rischio concreto della perdita dei raccolti in un momento in cui è importante assicurare l’approvvigionamento alimentare degli italiani pure per le difficoltà degli scambio commerciali.
Dopo essere stato snobbato per decenni si registra – continua la Coldiretti – un crescente interesse degli italiani per il lavoro nelle campagne anche per la situazione di difficoltà in cui si trovano altri settori economici. Un segnale positivo importante per il comparto che tuttavia – precisa la Coldiretti – si scontra con la mancanza di formazione e professionalità che è necessaria anche per le attività agricole soprattutto per chi viene da esperienze completamente diverse.
“Una opportunità che deve essere dunque accompagnata da un piano per la formazione professionale e misure per la semplificazione ed il contenimento del costo del lavoro” chiede il presidente della Coldiretti nel sottolineare che “serve anche una radicale semplificazione che possa ridurre la burocrazia, garantire flessibilità e tempestività del lavoro stagionale in un momento in cui tanti lavoratori di altri settori sono in difficoltà”.
Il Marocco – sottolinea la Coldiretti – ha sospeso tutti i collegamenti aerei con l’Italia con grandi difficoltà per molte imprese che non possono più contare su storici collaboratori. La comunità marocchina è la più numerosa tra i lavoratori agricoli fuori dei confini comunitari con quasi 36mila persone, il 10% circa del totale dei braccianti stranieri che ogni anno vengono occupati da nord a sud della Penisola.
Ma il problema rischia di allargarsi a macchia di olio in una situazione in cui a livello nazionale viene ottenuto da mani straniere più di ¼ del Made in Italy a tavola, con 368mila lavoratori provenienti da ben 155 Paesi diversi che hanno trovato regolarmente occupazione in agricoltura, fornendo il 29% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo il Dossier di Idos al quale ha collaborato la Coldiretti.
Prima della pandemia – continua la Coldiretti – i lavoratori stranieri occupati in agricoltura erano 368.000 per la maggior parte provenienti da Romania (98.011), Marocco (35.787), India (35.355) e Albania (33.568). Sono molti i “distretti agricoli” dove gli immigrati sono una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso – aggiunge la Coldiretti – della raccolta delle fragole nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva in Piemonte fino agli allevamenti da latte in Lombardia dove a svolgere l’attività di bergamini sono soprattutto gli indiani.
“In queste condizioni è importante l’annuncio da parte della Commissione europea del passaporto vaccinale con l’obiettivo di consentire la libera circolazione all’interno dell’Unione per lavoro o turismo” conclude il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare l’importanza di lavorare a livello nazionale per accordi bilaterali con i Paesi dove è più rilevante il flusso di lavoratori.
(Fonte www.coldiretti.it)