Dall’emergenza climatica nasce un nuovo Oltrepò

VARZI – Il dissesto idrogeologico non dà tregua alle nostre terre: da poco si è intervenuti sulla frana a Nivione di Varzi che bloccava la provinciale 18, altri fenomeni vicino a S. Desiderio, in comune di Godiasco, a Fortunago verso Valverde, infine a Menconico e S. Margherita Staffora. Già l’autunno minaccia altri eventi franosi.

Ci interessa al riguardo l’opinione dello scienziato professor Vincenzo Caprioli che, da un’ottica interdisciplinare, vede in questa situazione suggerimenti per un’economia oltrepadana  realmente sostenibile, sia per l’ambiente che per le persone.

Caprioli:” I geologi hanno la competenza per indicare preventivamente ciò che non va fatto (sebbene non sempre ascoltati) e , a danno avvenuto,  i necessari correttivi; io vorrei toccare gli aspetti economico-strategici che debbono supportare un’adeguata tutela dei luoghi. Il cambiamento climatico per colpa umana aggrava ovunque il dissesto e non solo;esso crea un’emergenza continua, ciò che era eccezionale diventa frequente. E’ opportuno ricordare quanto l’Italia sia esposta al dissesto per sua stessa conformazione: 2/3 del territorio è collinare o montano, percorso da ben 7.400 vie d’acqua tra fiumi, torrenti ed altro. Inoltre gli abusi ambientali sulla penisola sono stati di proporzioni ciclopiche, basti pensare ai 20.000 Km di corsi d’acqua tombinati sotto le città.  Se è vero che le frane sono causate da piogge persistenti che rendono instabili gli strati profondi di terra, anche le precipitazioni violente dopo periodi siccitosi creano problemi e perdita di suolo fertile per dilavamento. La regimentazione delle acque meteoriche, a partire dai piccoli rigagnoli che convergono verso alvei torrentizi, è sempre più necessaria e sono gli agricoltori a poterla creare e mantenere. Altrettanto fondamentale è un’adeguata copertura vegetale dei terreni, in particolare il sottobosco fa da spugna in grado di trattenere ingenti quantità d’acqua. Anche qui entra in gioco l’agricoltore, che un tempo interveniva con raccolta di legno morto, siepi, muretti a secco, fossi. Occorre quindi ragionare partendo proprio dall’agricoltore e dal suo possibile ruolo di custode del territorio. Fattori essenziali sono: redditività dell’attività agricola, sua salubrità (vedi impatto dei pesticidi) e sua sinergia con attività economiche pregiate (turismo, enogastronomia, commercio)”.

In particolare cosa ostacola queste sinergia?

“All’Oltrepò manca ancora una vocazione unitaria. In passato ha sofferto di “bulimia” affaristica, ossia considerare utile ogni ipotesi di sviluppo. Ci sono invece iniziative che rendono a qualcuno ma danneggiano altri molto di più. Questo è vero per i centri commerciali sorti come funghi, per alcune cave, logistiche, ipotesi autostradali etc. C’era ad esempio chi voleva un impianto di pirolisi a Retorbido, è occorsa una battaglia di anni per scongiurarne l’insediamento. Gli affari a danno collettivo non si oserebbe  neppure proporli se la consapevolezza fosse più diffusa. L’Oltrepò scelga cosa vuol essere ed escluda ciò che ne snatura la vocazione; è un’impostazione psico-sociale dalla quale si trarrebbero enormi vantaggi e che io promuovo da sempre”.

Tornando all’agricoltura, cosa servirebbe?

“La redditività agricola è troppo scarsa, per cause sia nazionali che europee; ciò spesso impone all’agricoltore di trasformare e vendere egli stesso i prodotti. L’agricoltore viene quindi spinto a cambiare mestiere, nonostante il suo sia prezioso per la comunità se fatto bene, con continuità e in modo pulito. La conversione bio, che include anche il recupero varietale, è già una risposta al problema: conferisce valore aggiunto ai prodotti e risana l’ambiente. In ciò i giovani agricoltori sono all’avanguardia ed in particolare quelli di alta collina. C’è però un altro fronte da aprire. I centri commerciali risucchiano buona parte del reddito della popolazione ma quanto restituiscono al territorio? Lo spazio espositivo è da loro inteso come proprietà privatissima, per la quale si chiedono pure soldi ai fornitori. Chi prende dal territorio dovrebbe anche favorirlo, dedicando ai prodotti locali visibilità adeguata. É dagli scaffali dei supermercati che può ripartire un nuovo benessere, a ritroso nella filiera ne beneficeranno tutti, agricoltori compresi. Strumenti di pressione nei confronti delle grandi catene vanno trovati anzitutto a livello locale, senza attendere dall’alto ciò che non arriva. Nuovi grossi insediamenti commerciali non farebbero che cannibalizzare le attività esistenti: i comuni devono impedirli, pretendendo però dalle realtà già stanziate la promozione delle produzioni locali, alimentari e non solo”.

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